Articolo dell’avvocato Paolo Picone
Ai sensi dell’art. 2901 cod. civ. l’azione revocatoria è esperibile avverso tutti gli atti di disposizione posti in essere dal debitore che siano pregiudizievoli per il creditore.
Non esiste un chiaro riferimento normativo che consenta di delineare precisamente i confini della categoria, ma senz’altro il riferimento agli <<atti di disposizione>> è stato usato dal legislatore col preciso intento di estendere il rimedio della revocatoria a qualsiasi attività giuridica compiuta dal debitore per eludere le ragioni creditorie, ossia per sottrarre beni alla garanzia patrimoniale del credito.
Il concetto del depauperamento della garanzia patrimoniale deve essere letto nel suo significato specifico e tecnico di effettivo detrimento delle possibilità di realizzazione coattiva del credito nelle forme dell’espropriazione forzata (artt. 483-604 c.p.c.).
La revocatoria, difatti, non è un rimedio finalizzato ad assicurare l’adempimento e neppure l’esecuzione delle obbligazioni in forma specifica con le modalità dell’esecuzione per consegna o rilascio di cui agli artt. 605-611 c.p.c. o l’esecuzione forzata di obblighi di fare e di non fare di cui agli artt. 612-614 bis c.p.c.
Essa è posta a salvaguardia della garanzia patrimoniale generica del credito, garanzia che ha la sua fonte normativa nell’articolo 2740 cod. civ., a norma del quale <<il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri>>.
La garanzia patrimoniale generica consiste propriamente nell’insieme dei beni, appartenenti al debitore, che siano espropriabili dal creditore in caso di inadempimento e si concreta, essenzialmente, nel diritto del creditore di soddisfarsi in via esecutiva attraverso il pignoramento di beni di valore equivalente a quanto a lui dovuto, la conseguente espropriazione mediante vendita coattiva e l’assegnazione al creditore del ricavato.
La garanzia patrimoniale generica, in buona sostanza, non viene neppure in rilievo con riferimento alle altre forme di esecuzione che non si attuino mediante pignoramento ed espropriazione, rispetto alle quali la revocatoria non può svolgere alcuna funzione conservativa utile.
Per questo l’articolo 2910, secondo comma cod. civ., limita l’efficacia dell’azione revocatoria all’ambito dell’esecuzione mediante espropriazione, precisando che: <<possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio dei creditori>>.
La revocatoria, in sintesi, può avere ad oggetto tutti gli atti che in qualsiasi modo privino il creditore della possibilità di pignorare uno o più beni che prima di quegli atti dispositivi erano invece pignorabili, ovvero che riducano il valore dei beni rimasti pignorabili (es. costituzione di usufrutto in favore di terzi o di servitù), diminuendo la fruttuosità della vendita forzata e della procedura esecutiva.
Non può escludersi, in astratto, che anche le cessioni di posizioni contrattuali rientrino tra gli atti di disposizione potenzialmente lesivi per le ragioni creditorie.
In questo caso, però, dovrà sempre tenersi presente la differenza ontologica dell’inefficacia relativa discendente dal positivo esperimento della revocatoria rispetto alle azioni di invalidità dell’atto lesivo.
La revocatoria, per definizione, a differenza di quanto accade nelle pronunce di invalidità, non consente di ripristinare l’originaria posizione contrattuale nel patrimonio del debitore, perché essa è funzionale unicamente all’espropriazione di beni o diritti.
L’argomento è stato approfondito da Cass. 26.8.2021 n. 23485 in tema di cessione gratuita di un contratto di leasing, escludendo in radice l’interesse del curatore del debitore cedente a promuovere l’azione revocatoria con la finalità di avvalersi della facoltà riconosciuta dalla legge fallimentare di optare per lo scioglimento del contratto.
L’arresto in commento ha chiarito che il concetto di inefficacia relativa dell’atto di disposizione (anche quando ha ad oggetto una posizione contrattuale, oltre che un bene) non restituisce all’organo concorsuale (e neppure al debitore in bonis) la pienezza della posizione dominicale ceduta.
L’inefficacia dell’atto revocato, in sintesi, non determina alcuna reviviscenza del potere dispositivo già consumato dal debitore.
I principi affermati dalla Cassazione nello specifico caso esaminato possono condurre alla più generale conclusione che la revocatoria della cessione del contratto di leasing non potrà mai essere funzionale all’espropriazione del bene oggetto di leasing.
L’atto dispositivo oggetto di revocatoria, infatti, non ha ad oggetto la proprietà di un bene o altro diritto reale, ma solo il diritto ad acquistarne la proprietà mediante il subentro in un contratto pendente, con la conseguenza che l’esperimento dell’azione non assicurerebbe al creditore il diritto di espropriare un bene che non è mai entrato (ancora) nel patrimonio del debitore e che per questo non è mai stato sottratto alla garanzia patrimoniale.
Ci si potrebbe chiedere, invero, se siano piuttosto recuperabili i canoni corrisposti dal debitore prima della cessione del contratto. È indubbio che la cessione gratuita di un contratto di leasing o la sua cessione a prezzo vile, può senz’altro ingenerare un arricchimento del cessionario, commisurato al minor prezzo da pagare al concedente il leasing per l’acquisto del bene.
Non sembra però, a chi scrive, che al predetto arricchimento sia correlata una corrispondente riduzione della garanzia patrimoniale del debitore. Con la cessione del contrato di leasing, in definitiva, l’unico “bene” che esce dal patrimonio del disponente è il diritto di acquistare, ma si tratta di un diritto che non è espropriabile.
Se ne trae la conclusione che, anche nello specifico esempio esposto, la cessione del contratto di leasing non può essere oggetto di revocatoria.