Articolo dell’avvocato Paolo Picone
Il factoring è uno dei principali strumenti di cui le imprese si servono per la pianificazione dei flussi finanziari derivanti dalla loro attività commerciale.
Fermo restando che la cessione dei crediti sorti nell’esercizio dell’impresa costituisce certamente il fulcro essenziale e irrinunciabile del contratto, non si è mancato di evidenziare che il factoring ha una causa complessa, non riducibile esclusivamente al mero scambio (causa vendendi), perché include anche un’anticipazione finanziaria, che ne costituisce un aspetto molto qualificante, la causa mandandi in relazione alla gestione dei crediti ceduti e può avere anche una funzione assicurativa, nei casi in cui la cessione avvenga pro-soluto con la conseguenziale assunzione, da parte del factor, del rischio di insolvenza del debitore ceduto.
Il fatto che il factoring sia nato e si sia diffuso come contratto atipico, tuttavia, ha favorito la proliferazione di schemi e contenuti diversi, modulati sull’esigenza di privilegiare l’uno o l’altro aspetto della complessa funzione causale del contratto.
Il factoring definito maturity, ad esempio, è nato come servizio attraverso il quale la società di factoring provvede all’accredito al cedente del valore nominale dei crediti oggetto di cessione alla data della loro scadenza naturale e la sua principale funzione era di semplificare la programmazione dei flussi finanziari dei crediti maturati dal cedente verso soggetti di sicura solvibilità, generalmente enti pubblici, non sempre tempestivi nei pagamenti.
Questo spiega perché la sua maggiore diffusione iniziale s’è avuta nel settore sanitario delle cliniche private convenzionate per consentire alle imprese di ricevere i flussi delle prestazioni eseguite in regime di accreditamento nei tempi concordati e spostare il costo dell’anticipazione finanziaria sul debitore ceduto.
Nel maturity factoring, infatti, è il factor a concedere al debitore ceduto una dilazione di pagamento oltre il termine di scadenza naturale dell’obbligazione, applicando direttamente a quest’ultimo tassi ultralegali ed eventuali interessi di mora in caso di ritardo sull’ulteriore dilazione concessa.
Nella sua configurazione originaria, dunque, il maturity factoring non implica alcuna anticipazione finanziaria al cedente, il quale riceve il solo beneficio di garantirsi la programmazione dei flussi secondo le scadenze concordate col cliente finale. L’anticipazione finanziaria è invece concessa dal factor al debitore ceduto. Per questo, sempre nella sua configurazione originaria, la cessione dei crediti è normalmente pro-soluto.
L’istituto si è successivamente evoluto e ha assunto forme più complesse che aprono scenari problematici per la ricostruzione giuridica del negozio, sia sotto il profilo strutturale, sia sotto l’aspetto funzionale.
Il maturity talvolta prevede la cessione pro-solvendo dei crediti e contempla sia l’anticipazione del credito al cedente, sia la contestuale concessione della dilazione onerosa in favore e a carico del debitore ceduto, in questo modo venendosi a configurare, con un’ unica erogazione di denaro da parte del factor, ben due rapporti di anticipazione finanziaria: il primo in favore del cedente, con interessi ultra-legali a suo carico fino alla scadenza naturale del credito ceduto e il secondo in favore del debitore ceduto, con interessi ultra-legali a suo carico dalla scadenza originaria del debito e fino all’effettivo pagamento.
Il factor, in definitiva, viene a interporsi nel rapporto commerciale tra imprese come finanziatore dell’uno e dell’altra, per consentire la dilatazione dei tempi di pagamento delle forniture di beni e servizi.
Normalmente il rapporto di cessione pro-solvendo e di anticipazione finanziaria concessa al cedente è regolata con scrittura autonoma rispetto alla concessione onerosa di dilazione ulteriore al debitore ceduto, la quale è invece sottoscritta da quest’ultimo, dal factor e anche dal cedente in forma di “autorizzazione alla dilazione”.
Sembrerebbe, quindi, che l’attuale evoluzione del maturity stia persino forzando la tradizionale struttura bilaterale della cessione del credito (e quindi del factoring propriamente inteso), perché salvo concepire una pluralità di contratti funzionalmente collegati, dovrà prendersi atto che l’operazione complessiva non sarebbe possibile senza il consenso negoziale di tutti i soggetti interessati.
Questo si tradurrebbe, sul piano processuale, anche nella necessità di estendere il contraddittorio al debitore ceduto in tutti i casi in cui fosse in discussione la validità del contratto o di singole clausole.
Ulteriori problematicità riguardano il piano funzionale del rapporto e la distonia tra la causa mandandi, pur sempre presente nel maturity, la cessione pro-solvendo e la libera gestione del mutuo oneroso concesso dal factor al debitore ceduto.
Non è infrequente, ad esempio, che il factor gestisca a suo piacimento l’anticipazione finanziaria concessa al debitore ceduto, modificandone anche unilateralmente le condizioni oppure concedendo ulteriori dilazioni non autorizzate dal cedente ma che comunque producono l’effetto – pregiudizievole per quest’ultimo – di limitare oltre misura il plafond concesso dal factor e di aggravare il rischio di insolvenza del debitore ceduto, garantito, appunto, dal cedente, per effetto della cessione pro-solvendo del credito.
Complessa è anche la ricostruzione degli effetti giuridici conseguenti all’eventuale insolvenza del debitore ceduto, alla quale magari faccia seguito anche l’insolvenza del cedente rispetto alla garanzia di solvibilità prestata al factor, con la conseguente anomalia della maturazione di distinti interessi moratori, a carico dell’uno e dell’altro, di misura potenzialmente diversa e tutti però discendenti da un’unica anticipazione finanziaria.
Il maturity factoring, in conclusione, nelle sue attuali configurazioni concrete, non tarderà a stimolare il lavoro di giudici e avvocati.