Articolo dell’avvocato Angelo Fricchione
La repressione della condotta antisindacale costituisce uno strumento molto efficace volto a sanzionare le decisioni del datore di lavoro nei confronti di una Organizzazione sindacale e/o dei dipendenti iscritti, lesive della libertà dell’attività sindacale e della libertà di affiliazione, attraverso la previsione di un procedimento giurisdizionale caratterizzato da rapidità ed efficacia, improntato a principi di oralità, concentrazione ed immediatezza
La norma contenuta nell’art. 28 della L. 300/70 cd. “Statuto dei Lavoratori”, infatti, è volta a tutelare la libertà dell’azione sindacale nei luoghi di lavoro dai comportamenti posti in essere dal datore di lavoro responsabile della condotta censurata, commessa direttamente o anche indirettamente, per il tramite cioè di un proprio collaboratore e/o dipendente.
L’art. 28 prevede espressamente che “Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e della attività sindacale nonché del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore (oggi il Tribunale) del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti”.
La formulazione ampia e asettica della disposizione, se da un lato non chiarisce apertamente l’oggetto della tutela, dall’altro lascia ampio margine di inclusione di svariati comportamenti che possano ledere la libertà dell’azione sindacale potendo ricomprendere nel suo alveo condotte sia materiali che giuridiche, sia commissive (ad esempio, minacce, indagini antisindacali) che omissive (come, ad esempio, la mancata promozione di un sindacalista in ragione della sua affiliazione).
L’art. 28 riconosce la legittimazione ad agire per la repressione della condotta antisindacale non già a tutte le associazioni sindacali, ma solo agli “organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse“.
Con tale disposizione il legislatore ha dettato una disciplina differenziata, operando una distinzione tra associazioni sindacali che hanno accesso anche a questo strumento processuale di tutela rafforzata dell’attività sindacale e altre associazioni sindacali, che hanno accesso solo alla tutela ordinaria attivabile ex art. 414 c.p.c. e ss.
Gli interessi che la procedura dell’art. 28 intende proteggere, quindi, trascendono sia quelli soggettivi dei singoli lavoratori sia quelli localistici e coincidono con gli interessi di un’associazione sindacale che si proponga di operare e operi realmente a livello nazionale a tutela di una o più categorie di lavoratori.
Il requisito della nazionalità, quale presupposto necessario per poter accedere a tale forma di tutela, è stato oggetto di numerose pronunce della Suprema Corte di Cassazione, che hanno puntualizzato che ciò che rileva è lo svolgimento di un’effettiva azione sindacale su gran parte del territorio nazionale, che non necessariamente deve coincidere con la stipula di contratti collettivi di livello nazionale, né che sia maggiormente rappresentativa (ex multis Cass. n. 1 del 2020; Cass. n. 6322 del 2018; Cass. n. 5321 del 2017; Cass. SS.UU. n. 28269 del 2005).
Chiarito a chi compete agire in giudizio, per poter attivare la procedura di cui all’art. 28 S.L. occorrerà verificare la sussistenza di un requisito ritenuto quale presupposto indefettibile ossia l’attualità della condotta antisindacale.
Il requisito dell’attualità della condotta antisindacale è considerato dalla giurisprudenza come essenziale ai fini dell’esperibilità del procedimento ex art. 28 Stat. lav. coerentemente con la sua natura di strumento processuale volto ad offrire al sindacato la possibilità di una reazione il più possibile tempestiva contro i comportamenti datoriali pregiudizievoli per i propri diritti.
Ben vero, se l’orientamento inizialmente prevalente in ordine all’attualità era particolarmente restrittivo, riconoscendo la tutela soltanto ai comportamenti antisindacali ancora in atto e/o di persistenza degli effetti al momento della proposizione dell’azione, nel tempo tuttavia si è affermato un diverso indirizzo che fonda l’attualità della condotta in rapporto alla natura “aperta” e teleologica della disposizione statutaria, ed in relazione quindi all’idoneità o meno a ledere i diritti dalla stessa tutelati.
Ne deriva che l’attualità della lesione andrà verificata non solo se la condotta è ancora in essere, ma ancor di più, o piuttosto, verificando in concreto l’idoneità del comportamento denunciato di produrre effetti pregiudizievoli per il sindacato nel tempo, sia per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, suscettibile di determinare in qualche misura una restrizione o un ostacolo al libero esercizio dell’attività sindacale (cfr. in tal senso già Cass. Civ. sentenza n. 1600/1998, Cass. n. 13860/2019, Cass. n. 3837/2016, nonché per la giurisprudenza di merito più recente Tribunale di Napoli Nord sentenza n. 2130/2017).
L’attualità andrà ravvisata quindi in tutti quei comportamenti per i quali persiste una efficacia pregiudizievole che necessita di un provvedimento giudiziario idoneo a ristabilire la legalità violata ed assicurare al sindacato l’utilità ripristinatoria cui l’azione ex art. 28 Stat. lav. è preordinata.
A tal proposito di particolare interesse risulta una recente pronuncia della Corte d’Appello di Napoli chiamata a confermare o meno l’accertamento della condotta antisindacale posta in essere da una società affiliata ad un noto marchio della ristorazione fast food nei confronti di un Sindacato, assistito dallo Studio Legale PVM Avvocati, consistita nell’aver trasferito, senza ottenere il preventivo consenso dal Sindacato, un dipendente che rivestiva anche la qualifica di RSA nonché per aver trasferito in altro punto vendita, prossimo alla cessione, molti dipendenti iscritti a quel sindacato, camuffando il tutto sotto le mentite spoglie di una formazione senza previsione di un termine finale, inducendo altri iscritti alla cancellazione per evitare la medesima sorte.
La specialità della sentenza non consiste tanto nel fatto di aver accertato che entrambi i comportamenti denunciati integravano gli estremi di una condotta antisindacale perpetrata in danno del Sindacato, quanto piuttosto nella condanna della società a rimuovere gli effetti conseguenti alla propria condotta disponendo la riassegnazione dei dipendenti alla sede di appartenenza.
I Giudici dell’Appello, ribadendo il concetto che la tutela ex art. 28 S.L. risponde a finalità e interessi che prescindono del tutto dall’interesse individuale di un lavoratore, hanno ritenuto che “Infine, quanto all’ordine di riassegnazione dei dipendenti alla sede di appartenenza emesso in mancanza di impugnazione dei singoli trasferimenti, è appena il caso di osservare che detto ordine costituiva l’unico modo per rimuovere gli effetti della condotta antisindacale accertata” (Corte d’Appello di Napoli, sentenza n. 70/2023).