Articolo dell’avvocato Paolo Picone
Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 9105 del 15.10.2019 ha proposto un interessante applicazione del principio affermato da Cass. Civ. sez. II, 27 ottobre 1995 n. 11203, secondo il quale il termine per l’usucapione non decorre, contro il legittimario, se non dal tempo dell’apertura della successione.
Il Tribunale, infatti, dopo aver accertato che la vendita di un’azienda disposta dal de cuius in favore di uno solo dei figli simulava in realtà una donazione, ha ritenuto quest’ultima nulla per difetto di forma e conseguenzialmente ha ritenuto che il bene ceduto non fosse mai realmente uscito dal patrimonio paterno, così da ad integrare il relictum fatto oggetto di divisione giudiziale nello stesso procedimento.
L’eccezione di usucapione dell’erede che pure aveva ricevuto quell’attribuzione molti decenni prima, è stata respinta sul presupposto che l’usucapione, in quanto si fonda sul possesso uti dominus, configurato dall’intenzione di esercitare un diritto proprio sulla cosa, matura contro il proprietario, non con il suo consenso: pertanto, non si compie quando il possesso viene esercitato con la tolleranza del proprietario.
La particolarità del caso deciso dal Tribunale discende dal fatto che lo stesso principio affermato dalla Cassazione per il legittimario pretermesso, è stato applicato per estensione ad una fattispecie di nullità della disposizione, tale quindi, da non poter ledere, per definizione, la quota di legittima, perché inefficace ab origine.
Si è preso in considerazione il fatto che ove fosse stata consentita, prima dell’apertura della successione, la maturazione dell’usucapione del bene fatto oggetto di donazione nulla (e non semplicemente lesiva della quota riservata ai legittimari) si sarebbe consentito al beneficiario di ricevere un trattamento ordinamentale addirittura più favorevole, consistente nella possibilità di acquistare per usucapione, prima dell’apertura della successione, anche contro il legittimario pretermesso.
Non può non cogliersi l’analogia con la giurisprudenza di legittimità che si è formata in tema di limitazioni probatorie ex art. 1417 c.c., laddove è stata sempre parificata, sotto il profilo funzionale e quindi anche di disciplina, l’azione di riduzione ad ogni altra azione comunque diretta a far accertare l’inefficacia ab origine della disposizione lesiva della quota di legittima, inclusa l’azione di accertamento della simulazione assoluta.
Cass. 13.11.2009 n. 21134, ad esempio, ha magistralmente chiarito in argomento che: <<non è decisiva l’obiezione, prospettata in dottrina, secondo cui il legittimario difenderebbe veramente un diritto proprio attribuitogli dalla legge contro la stessa volontà del de cuius solo quando agisca per la reintegrazione della legittima lesa, mentre nei confronti di contratti assolutamente simulati o relativamente simulati dissimulanti un contratto nullo, non vi sarebbe nulla da reintegrare (in quanto non vi è stato spostamento patrimoniale), ma si dovrebbe solo rimuovere la fallace apparenza. In tale ultima ipotesi, infatti, il legittimario, ove il relictum non sia sufficiente per soddisfare il suo diritto alla quota di riserva, agisce in simulazione per far valere tale diritto proprio contro l’apparenza creata in suo danno dal de cuius, diritto che non potrebbe trovare tutela senza la previa rimozione di tale apparenza. Diversamente opinando, si verificherebbe l’assurdo che il de cuius potrebbe vanificare il diritto del legittimario alla quota di riserva dissimulando sotto atti di trasferimento a titolo oneroso delle donazioni nulle, in quanto il legittimario leso dalla simulazione verrebbe considerato, in quanto erede e continuatore della personalità del defunto, partecipe della simulazione stessa>>.
La posizione sostanziale e processuale dei legittimari, anche i fini dell’usucapione, in definitiva, non muta affatto, sia che l’atto lesivo si configuri come simulazione relativa che dissimuli una donazione valida, sia che si tratti di simulazione assoluta o di simulazione relativa che dissimuli una donazione nulla.