Articolo dell’avvocato Paolo Picone
Il D.lgs. n. 14 del 12.1.2019 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza) consente all’imprenditore commerciale e agricolo di chiedere la nomina di un esperto al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’impresa, affinché agevoli le trattative con i creditori o altri soggetti interessati, finalizzate al superamento di situazioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza, sempre che risulti ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa.
L’istanza di nomina dell’esperto indipendente, ai sensi dell’art. 17 del D.ls. n.14/2019, è presentata mediante la semplice compilazione di un modello tramite la piattaforma telematica gestita dal sistema delle camere di commercio, per il tramite di Unioncamere.
L’art. 18 del D.lgs. n.14/2019 prevede che l’imprenditore, con l’istanza di nomina dell’esperto o con successiva istanza, può chiedere l’applicazione di misure protettive del patrimonio e che in tal caso, dal giorno della pubblicazione dell’istanza nel registro delle imprese, unitamente all’accettazione dell’esperto, i creditori interessati non possono acquisire diritti di prelazione se non concordati con l’imprenditore, né possono iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul suo patrimonio o sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l’attività d’impresa.
L’art. 19 D. lgs. n. 14/2019 prevede però che l’imprenditore che si sia avvalso dell’effetto automatico delle misure protettive (cd. automatic stay) debba chiederne la conferma al Tribunale entro il giorno successivo.
Il relativo procedimento si svolge con il rito cautelare, con il coinvolgimento dell’esperto e l’instaurazione del contraddittorio con i principali creditori e i terzi pregiudicati dalle misure richieste.
Sin dall’entrata in vigore dell’istituto è stato rilevato che le “misure di protezione”, nel contesto della composizione negoziata della crisi d’impresa, agiscono su un piano assai delicato dei rapporti giuridici privati, non solo perché consentono al debitore di incidere unilateralmente, in modo pregiudizievole, nella sfera giuridica del creditore, semplicemente compilando un modulo telematico e senza nessuna preventiva verifica esterna, ma anche per la singolarità del successivo giudizio in tribunale, nel quale, almeno apparentemente, non si chiede al giudice un provvedimento in funzione di un diritto, ma la compressione di un diritto del creditore.
Questo spiega, innanzitutto, perché gli articoli 4, 18 e 19 del D.lgs. n. 14/2019 attribuiscano ampia rilevanza ai doveri di buona fede, di correttezza e di trasparenza. L’unica possibilità di far funzionare efficacemente gli automatismi protettivi, nel quadro del rinnovato sistema della composizione della crisi di impresa, è di impedire e sanzionare l’utilizzo strumentale e abusivo che possa farne il debitore. La composizione negoziata deve servire unicamente al superamento della probabile crisi d’impresa attraverso una trattativa condotta con uno o più creditori improntata alla piena trasparenza informativa da parte dell’imprenditore e alla reciproca buona fede.
L’oggettiva considerazione che le misure di protezione determinano un pregiudizio, ovvero una sicura limitazione dei diritti del creditore, deve invece necessariamente suggerire un’interpretazione razionale delle norme che sia coerente col sistema ordinamentale.
Occorre primariamente considerare che la legge pone uno stretto collegamento funzionale tra le misure protettive e la conduzione della trattativa con uno o più creditori.
L’art. 18 comma 4 del D.lgs. n. 14/2019, impedendo l’apertura della liquidazione giudiziale fino alla conclusione delle trattive, salvo che il tribunale disponga la revoca delle misure protettive, pone una stretta interdipendenza tra l’effetto del cd. automatic stay e la permanenza della trattativa.
L’ art. 19, comma 4 del D.lgs. n. 14/2019, nel prevedere che all’udienza davanti al tribunale l’esperto venga chiamato ad esprimere il proprio parere sulla funzionalità delle misure richieste ad assicurare il buon esito delle trattative, rende ancor più evidente la ratio legis di assicurare una protezione all’imprenditore in situazione di possibile crisi o insolvenza, al solo fine di consentirgli di portare a termine una trattativa che sia in grado di superarla.
È altrettanto certo però, che la protezione accordata al debitore inadempiente non può essere finalizzata a fargli acquisire maggior potere negoziale nei confronti del creditore procedente.
Le misure di protezione costituiscono una limitazione delle facoltà concesse dalla legge al creditore insoddisfatto. Un’interpretazione che ne concentrasse la funzione sul piano del particolare rapporto obbligatorio, come protezione del debitore contro le legittime istanze del creditore, avvalorerebbe l’aporia di una misura pur prevista dalla legge, ma “contra ius”.
Invece deve prendersi atto che le misure di protezione servono piuttosto a proteggere gli altri creditori dell’imprenditore in una dimensione che trascende il singolo rapporto debitore/creditore e che s’innesta in un più ampio scenario pre-concorsuale.
L’arresto delle esecuzioni in corso, a ben vedere, è chiaramente preordinato alla salvaguardia, anticipata e temporanea, della par condicio creditorum nelle more della trattativa, ossia serve a impedire che uno o più creditori possano avvantaggiarsi, rispetto agli altri, di un più avanzato stato delle spiegate azioni esecutive, ponendo ostacolo all’avanzamento di una trattativa condotta (anche e soprattutto) con i creditori non procedenti. Quest’ultimi sono gli unici terzi che non subiscono un immediato pregiudizio, anzi si avvantaggiano, dell’arresto delle altrui esecuzioni.
In materia di misure protettive in ambito concordatario, con ragionamento estensibile anche all’analogo istituto previsto nella composizione negoziata della crisi, la giurisprudenza di merito ha confermato il rilievo decisivo della tutela della par condicio creditorum ai fini della conferma o della revoca delle misure di protezione.
Il Tribunale di Bergamo, ad esempio, con Ordinanza del 24.2.2022 ha espressamente chiarito che le misure protettive: “non possono essere concesse erga omnes, bensì nei confronti dei soli creditori specificamente individuati dal ricorrente in quanto titolari di una posizione suscettibile di pregiudicare la par condicio creditorum…”. In senso conforme si è espresso anche il Tribunale di Milano con Ordinanza del 17 gennaio 2022.
L’intera disciplina delle misure di protezione nella composizione negoziata, in definitiva, serve a tutelare la par condicio creditorum in una fase nella quale ancora non è aperta una procedura concorsuale, e questo spiega la natura squisitamente cautelare del procedimento ex art. 19 D.lgs. n.14/2019, confermata, recentemente, dal Tribunale di Napoli Nord con Ordinanza del 26.10.2022 a firma della dott.ssa Maria De Vivo.
Si tratta, infatti, di un procedimento squisitamente funzionale a prevenire un potenziale pregiudizio dei creditori, pregiudizio che diverrebbe attuale solo in caso di fallimento della trattativa, di evoluzione dello squilibrio patrimoniale e finanziario in crisi o insolvenza e nell’apertura di una procedura concorsuale.
La funzionalità delle misure di protezione rispetto alle trattative deve dunque palesarsi in questi termini nel procedimento ex art. 19 D. Lgs. n.14/2019 e non può prescindere dall’oggettiva idoneità del potenziale accordo a consentire il superamento della potenziale crisi d’impresa.
La già richiamata Ordinanza del Tribunale di Napoli Nord del 26.10.2022 precisa che il giudice è chiamato a verificare i presupposti di accesso al percorso per la composizione negoziata valutando la funzionalità delle misure richieste al soddisfacimento degli obiettivi della procedura di composizione negoziata, ovvero al risanamento dell’attività di impresa ed al buon esito delle trattative per la risoluzione della crisi, sia pure in via sommaria, tenuto conto delle caratteristiche dell’accertamento cautelare, basandosi: a) sugli esiti del test pratico finalizzato a valutare in via preliminare la complessità del risanamento in forza di un indice di riferimento dato dal rapporto “fra il debito che deve essere ristrutturato e l’ammontare annuo dei flussi a servizio del debito”, nonché a stabilire, conseguentemente, la tipologia degli interventi da compiere per raggiungere nuovamente il pieno equilibrio finanziario, economico e patrimoniale; b) sul piano di risanamento predisposto dall’imprenditore, sulla base della lista di controllo messa a sua disposizione; c) sull’analisi di coerenza effettuata dall’esperto, consistente nel vaglio critico delle premesse e degli obiettivi del progetto di risanamento, attraverso adeguati riscontri ed eventuali proposte di modifica.
Lo stesso provvedimento in commento, conformemente ad altra giurisprudenza di merito, ha anche precisato che il giudice deve “effettuare un bilanciamento, ex ante e in concreto, tra l’interesse del debitore alla soluzione negoziale della propria crisi e quello dei creditori a non subire un pregiudizio irreparabile dall’applicazione delle misure” (cfr. anche: Tribunale di Bergamo, 5.4.2022, Tribunale di Padova, 20.7.2022), ma è evidente che detto “bilanciamento” non può mai lasciare margini di discrezionalità al giudice nell’ambito di un giudizio civile, nel quale il giudice non è chiamato, per definizione, a giudizi di “opportunità”, ma deve applicare semplicemente la legge. A ben vedere con quel “bilanciamento” si vuol dire che il giudice deve essenzialmente verificare la ricorrenza del presupposto del periculum in mora, consistente, appunto, nel potenziale pregiudizio arrecato dalle esecuzioni o azioni cautelari di singoli creditori ai diritti di tutti gli altri creditori a concorrere proporzionalmente sul patrimonio del debitore, ove venga ritenuto probabile uno scenario concorsuale in caso di fallimento della trattativa e di evoluzione dello squilibrio economico-finanziario dell’impresa in una crisi o accertata situazione di insolvenza.
In quella valutazione, però, dovrà tenersi conto anche degli oggettivi limiti delle misure di protezione.
Quest’ultime, infatti, servono a inibire iniziative esecutive o cautelari dei creditori, giammai possono determinare lo svincolo di somme o beni già pignorati.
Questo è l’importante principio confermato dal Tribunale di Napoli Nord – G.U. Dott.ssa Maria De Vivo – con l’Ordinanza del 26 ottobre 2022 estendendo alla composizione negoziata quanto già affermato dalla giurisprudenza di merito con riferimento alle misure protettive ex art. 7 D.L. 118/2021, e cioè che “laddove il tribunale abbia confermato le misure protettive richieste dall’imprenditore con riferimento all’espropriazione presso terzi in precedenza promossa in suo danno, avente ad oggetto le somme dovutegli da una serie di istituti di credito, e già interinalmente riconosciutegli dalla legge con il solo deposito, unitamente o separatamente alla richiesta di nomina di un esperto, dell’istanza di cui all’art. 6 di detto decreto, si deve ritenere che il relativo pignoramento non possa essere dichiarato inefficace, con conseguente liberazione dei conti correnti bloccati al fine di mettere a disposizione del nominato esperto i fondi necessari per soddisfare equamente tutti i creditori, ma che il procedimento esecutivo possa essere solo sospeso dal tribunale per un massimo di 120 giorni al fine di consentire che le trattative volte al superamento della crisi si possano svolgere proficuamente, ed entri, pertanto, in una fase di mera quiescenza, con il conseguente blocco dell’attività liquidatoria>> (Trib. Milano, Sez. III civ., 26 gennaio 2022, in www.unijuris.it”).
Sulla scorta dell’esposto ragionamento il Tribunale di Napoli Nord, col richiamato importante provvedimento del 26 ottobre 2022, ha radicalmente escluso che le misure di protezione possano servire all’imprenditore per rientrare nella disponibilità delle somme già pignorate, ritenendo dunque frustrato, nel caso concretamente esaminato, l’assunto sul quale era interamente poggiato il piano finanziario di risanamento, nonché l’attendibilità del test pratico eseguito, interamente condizionato all’impiego di risorse finanziarie già pignorate.
Questo significa che la “funzionalità” delle misure di protezione, rispetto alle trattative che dovrebbero condurre al superamento della crisi, deve essere valutata, nel giudizio ex art. 19 del D.lgs. n. 14/2019, considerando sempre “indisponibili” somme e crediti già pignorati.
Naturalmente resta aperta la rara possibilità che i creditori procedenti possano acconsentire espressamente allo “svincolo” nel procedimento attivato ex art. 19 D.lgs. n. 14/2019, ma questa eventualità, ragionando sul presupposto che ogni scelta soggettiva risponda esclusivamente a un interesse egoistico, resta relegata all’ipotesi che la proposta dell’imprenditore formulata in sede di composizione negoziale preveda il soddisfacimento di quei crediti in misura almeno uguale a quella che ne avrebbe assicurato la procedura esecutiva pendente.