Articolo dell’avvocato Stefano Paparella
La Legge 27 settembre 2021 n. 134 con l’introduzione dell’ articolo 344-bis del codice di procedura penale ha introdotto l’istituto dell’ ”improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.” Orbene è il caso di rilevare che il legislatore nell’ambito dalla cosiddetta “riforma Cartabia” non abbia previsto disposizioni di raccordo tra il processo agli enti disciplinato dal D.lgs 231/01 ed il nuovo istituto dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
Pertanto una delle questioni di maggior rilievo da sollevare all’indomani dell’entrata in vigore della norma concerne proprio l’applicabilità di questo istituto al processo degli enti, disciplinato dal D.lgs 231/2001. Il Legislatore non ha inteso fornire lumi al riguardo sebbene il tema della responsabilità degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio sia oggetto sempre di maggiore attenzione da parte della giurisprudenza, della dottrina e del legislatore stesso. Ciò non dovrebbe impedire quindi l’operatività del nuovo istituto nel processo agli enti in mancanza di disposizioni finalizzate a limitare la causa d’improcedibilità dell’azione penale al processo per la responsabilità penale. La sede di accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente, infatti, resta sempre il processo penale. In tal senso in assenza di pronunce giurisprudenziali si è espresso l’Ufficio del Massimario della Cassazione che è giunto alla conclusione secondo cui “una lettura costituzionalmente orientata potrebbe far propendere per l’estensione della improcedibilità dell’azione per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione anche alla disciplina dell’illecito da reato degli enti, con la conseguenza che, ove il giudizio non possa essere proseguito, a causa del superamento del termine di legge, dovrebbe cessare anche il processo a carico dell’ente”.
A conferma di ciò è il caso di sottolineare che l’improcedibilità dell’azione nel processo agli enti opera perché formalmente costruita come Istituto Processuale applicabile proprio in ragione dell’articolo 34 del D.lgs 231/2001. Tale norma infatti prevede una sorta di clausola di recepimento in forza della quale al processo degli enti si applicano anche le disposizioni del codice di procedura penale, a condizione che siano compatibili con la peculiare disciplina prevista dal decreto in parola. Ne consegue che, essendo stato il meccanismo della “improcedibilità” inserito nel codice di rito (articolo 344 bis), la sua applicabilità in ambito “231” può essere esclusa solo ove si ritenesse che il nuovo istituto sia “incompatibile”, logicamente o strutturalmente, con il processo degli enti. Del resto, l’impossibilità a proseguire il processo a carico dell’ente nei casi di cui all art 344 bis c.p.p. appare anche coerente con il regime dell’improcedibilità dettato dall’art. 37 del D.lgs 231/01, che così disciplina “non si procede all’accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente quando l’azione penale non può essere iniziata o proseguita nei confronti dell’autore del reato per mancanza di una condizione di procedibilità”. Tale previsione risulta senz’altro riferibile all’ampia categoria generale delle cause di improcedibilità, ricomprendente sia le ipotesi di difetto delle condizioni di procedibilità ( tipiche e atipiche), sia quelle situazioni, come appunto l’improcedibilità dell’art 344 bis in cui ricorrono cause ostative alla pronuncia sul merito dell’imputazione.
In definitiva l’estensione della improcedibilità dell’azione per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione alla disciplina dell’illecito da reato degli enti appare corretta anche in virtù del legame indissolubile tra la procedibilità dell’illecito amministrativo e quella in ordine al reato presupposto in ragione di una impostazione giustificabile sul piano sostanziale dalla dipendenza logico- giuridica dell’illecito amministrativo dal reato presupposto.