Articolo dell’avvocato Carla Sodano e dell’avvocato Stefano Mazziotti di Celso
L’utilizzo massivo degli strumenti informatici nello svolgimento delle attività lavorative più varie, ha fatto sì che sia oramai ordinario che il datore doti i propri dipendenti di pc e account e-mail aziendali al fine di consentire ai propri lavoratori di svolgere le prestazioni quotidiane.
Se è vero che i computer e le caselle di posta fornite ai lavoratori sono di proprietà aziendale, che tipo di controlli può effettuare il datore di lavoro e che uso ne può fare?
L’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/1970) disciplina il potere di controllo del datore di lavoro e, in particolare, la regolamentazione dei c.d. controlli a distanza dei dipendenti. Nel 2015 tale articolo ha subito rilevanti modifiche ad opera del “Jobs Act” che ha esteso l’utilizzo dei mezzi di controllo.
Se il comma I dell’articolo 4 consente un controllo a distanza (anche indiretto) dei lavoratori attraverso gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti solamente “per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale” ed esclusivamente previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali ovvero dell’I.T.L. territorialmente competente, il comma II, invece, espressamente esclude tali limiti normativi nel caso di “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” e “strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.
Il tenore letterale della norma sembra quindi permettere alla parte datoriale un controllo ampio ed illimitato sugli strumenti aziendali forniti ai propri lavoratori, tra i quali evidentemente rientrano le e-mail inviate e ricevute (restano ovviamente fuori da tali controlli le mail personali, in quanto altrimenti si incorrerebbe nella violazione dell’art. 15 Cost.).
In tale contesto, dunque, si scontrano due contrapposti interessi: da un lato quello del datore di vigilare sull’attività lavorativa, mentre, dall’altra, il diritto alla riservatezza, alla libertà e dignità dei dipendenti.
Ed è per tale ragione che il potere di controllo di cui all’art. 4 comma II dello Statuto dei Lavoratori incontra un limite, ovverosia quello di fornire ai propri dipendenti informative puntuali e dettagliate circa il tipo di dato che può acquisire, le modalità e le finalità di raccolta dello stesso.
Di fondamentale importanza è il fatto che vengano chiaramente esplicitate dal datore le eventuali conseguenze dal punto di vista dell’irrogazione di sanzioni disciplinari che possano scaturire all’esito dei controlli.
È oramai frequente, infatti, che al momento della consegna dei beni aziendali il datore conferisca al lavoratore la policy aziendale circa l’utilizzo di quel determinato strumento, talvolta limitandone e/o vietandone l’uso per fini che non siano strettamente lavorativi (non di rado i pc sono dotati anche di filtri che impediscono di visitare determinati siti web o di “scaricare” particolari tipi di file).
Tali attività di vigilanza non devono comunque essere sistematiche ed illimitate.
La giurisprudenza è infatti consolidata nel ritenere legittimo il comportamento datoriale che utilizzi le e-mail del proprio dipendente per accertare se quest’ultimo abbia posto in essere un comportamento lesivo dell’azienda o del patrimonio della stessa, ma ciò sempre effettuando un contemperamento tra gli opposti interessi. Un uso illecito o scorretto di tali strumenti di lavoro potrebbe quindi comportare l’addebito di sanzioni disciplinari di natura conservativo e finanche il licenziamento.
Tuttavia, l’eventuale mancata pubblicità di tali informazioni potrebbero rendere illegittima l’eventuale sanzione irrogata.