Articolo dell’avvocato Valentina Giordano
In un film del 2004 Jim Carrey e Kate Winslet decidono di cancellare dalla loro memoria in modo definitivo tutti i ricordi e i dati relativi alla loro storia d’amore in modo da poter dimenticare tutto senza alcuna difficoltà o sofferenza e poter proseguire nella propria vita.
Guardando il film nasce quindi il dubbio se esista o meno un vero e proprio “diritto ad essere dimenticati” non solo nella vita privata ma anche nella vita pubblica che ognuno di noi vive ogni giorno.
Nell’epoca di internet e dei social networks sappiamo bene che ovunque andiamo, ovunque ci colleghiamo, qualsiasi cookie accettiamo o informazione rilasciamo sarà “per sempre” perché la macchina del web ingloba i nostri dati in ogni momento, anche quando non ce ne rendiamo conto.
Ebbene, già prima del Regolamento UE GDPR, nel nostro ordinamento era (ed è ancora) codificato un generale diritto alla protezione dei dati personali, sancito dall’art. 8 dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, laddove si afferma (par. 1) che “ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano”.
Si noti che non si sta parlando di dati “di proprietà” della persona, bensì “che riguardano” la medesima. Il diritto alla protezione dei dati personali, lungi dall’essere un classico diritto proprietario, consiste e si realizza infatti nell’attribuire all’interessato consapevolezza e potere di controllo sull’uso che altri fanno dei dati riferiti a sé medesimo.
Se i dati personali sono proiezione e rappresentazione della persona nel contesto civile e sociale, esiste evidentemente – ed è riconosciuto – un interesse primario della persona a che questa rappresentazione sia gestita con correttezza così come – entro determinati limiti – nel rispetto delle proprie decisioni.
A tale logica risponde il diritto all’oblio, che secondo la giurisprudenza deve essere considerato come quel diritto di un soggetto a vedersi per così dire “dimenticato” dalle banche dati, dai mezzi di informazione, dai motori di ricerca che detengono i suoi dati in relazione ad un’attività di trattamento che sono interessati a compiere dal diretto interessato o dalla legge. Esso assume quindi una importanza crescente e diventa, al contempo, problematico in relazione alla immane quantità di dati che ognuno di noi rilascia quotidianamente, a volte senza accorgersene, nei social networks e comunque nella rete, dove essi sono soggetti ad una propagazione priva di ogni controllo.
Nel nostro codice civile il diritto all’oblio non è codificato esplicitamente ma la Suprema Corte di Cassazione ha, ormai da anni, affermato la sua importanza in quanto esso trova il proprio addentellato nell’art. 2 della Carta Costituzionale.
Una prima codificazione, se così possiamo definirla, si è avuta solo a livello europeo nel Regolamento UE GDPR 2016/679, il quale per la prima volta all’art. 17 contiene una disciplina articolata di tale diritto.
A fronte della richiesta dell’interessato, il titolare deve cancellare “senza ingiustificato ritardo” i dati non più necessari rispetto alla finalità per cui sono stati raccolti, ovvero quelli trattati illecitamente; e così deve fare anche nei casi di revoca del consenso, di opposizione al trattamento e di obbligo legale alla loro cancellazione.
Tale diritto ha quindi una forza espansiva, a tratti quasi esplosiva, che si ferma solo di fronte alle fattispecie di cui al par. 3 dell’art. 17 ovvero nell’ipotesi di esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, adempimento di obblighi legali cui è soggetto il titolare, motivi di interesse pubblico in ambito sanitario, archiviazione nel pubblico interesse, difesa di diritti nelle sedi giudiziarie.
Appare quindi chiaro come il diritto all’oblio, da intendersi come diritto strettamente connesso all’identità personale, deve essere accordato riconoscendo la centralità dell’individuo e dei diritti della personalità ad esso riconosciuti, anche alla luce dell’evoluzione economica e sociale. Tale diritto non è più figlio del diritto alla riservatezza, ma diviene autonomo in quanto volto alla tutela dell’identità personale del soggetto, ricomprendendo sia la realtà online che la realtà offline propria di ognuno di noi.
L’affermazione di un siffatto diritto permette all’individuo di esercitare una tutela sulla propria persona e sulla propria immagine in qualsiasi momento poiché “l’oblio è una forma di libertà” proprio come diceva il poeta libanese Kahlil Gibran.