Articolo dell’avvocato Paolo Picone
Ai sensi dell’art. 167 L.F. <<durante la procedura di concordato, il debitore conserva l’amministrazione dei suoi beni e l’esercizio dell’impresa, sotto la vigilanza del commissario giudiziale>>. La presentazione dell’istanza ai sensi dell’art. 161 L.F. non determina alcun effetto di “spossessamento” assimilabile a quello previsto in caso di fallimento dall’art. 44 L.F.
La previsione contenuta nel secondo comma dell’art. 167 L.F., in base alla quale <<i mutui, anche sotto forma cambiaria, le transazioni, i compromessi, le alienazioni di beni immobili, le concessioni di ipoteche o di pegno, le fideiussioni, le rinunzie alle liti, le ricognizioni di diritti di terzi, le cancellazioni di ipoteche, le restituzioni di pegni, le accettazioni di eredità e di donazioni e in genere gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti senza l’autorizzazione scritta del giudice delegato, sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al concordato>>, da un lato è limitata ad atti negoziali particolari e di natura straordinaria, dall’altro, ponendo l’autorizzazione giudiziale come mera condizione di opponibilità dell’atto alla procedura, non esclude, anzi conferma, la legittimazione dell’imprenditore in concordato a disporre del patrimonio aziendale.
Soprattutto nei casi in cui la domanda di concordato preventivo sia diretta alla continuità aziendale, accade che l’imprenditore, durante il corso della procedura, anche prima della presentazione della proposta e dell’istanza di omologa ai sensi dell’art. 180 L.F., debba eseguire pagamenti di debiti scaduti.
Questo vale naturalmente per tutte le obbligazioni sorte dopo la pubblicazione del ricorso depositato ai sensi dell’art. 161 L.F., ma vale anche per i pagamenti dei crediti anteriori disposti in esecuzione della proposta omologata o per effetto dell’autorizzazione di cui all’art. 182 quinquies L.F. per le prestazioni ritenute essenziali per la prosecuzione della attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori.
In tutti i casi nei quali la procedura concordataria evolva in dichiarazione di fallimento, per dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per diniego dell’omologa, per annullamento o risoluzione, si pone il problema di definire la sorte, in ambito fallimentare, dei pagamenti eseguiti nel corso del concordato preventivo.
In via generale, si può osservare che la caducazione di una procedura concorsuale minore (tale è definita la procedura alternativa quando ad essa faccia seguito il fallimento) determina effetti diversi a seconda della minore o maggiore incidenza dell’eterodirezione giudiziaria.
Nel concordato fallimentare l’art. 140, comma 3 L.F. prevede che <<i creditori anteriori conservano le garanzie per le somme tuttora ad essi dovute in base al concordato risolto o annullato e non sono tenuti a restituire quanto hanno già riscosso>>.
L’esclusione dell’obbligo di restituzione delle somme percepite, in quella procedura, è però giustificata dal fatto che i pagamenti avvengono in base a un piano di riparto e sotto la vigilanza del giudice.
Nel concordato preventivo, nel quale l’eterodirezione giudiziaria è molto limitata e l’imprenditore conserva ampia libertà d’azione, gli istituti della risoluzione e dell’annullamento sono disciplinati dall’art. 186 L.F. con il rinvio, in quanto compatibili, agli artt. 137 L.F. e 138 L.F. dettati in tema di concordato fallimentare, senza un esplicito richiamo dell’art. 140, comma 3 L.F. e della regola della irripetibilità dei pagamenti.
La giurisprudenza, tuttavia, ritiene che la norma sia applicabile in via analogica al concordato preventivo nei limiti in cui le riscossioni siano ritenute valide ed efficaci.
Sono ritenuti inefficaci, in generale, i pagamenti dei debiti anteriori eseguiti al di là dei limiti stabiliti nel provvedimento di omologa o in violazione del principio della par condicio creditorum e dell’ordine delle prelazioni (Cass. Sez. 1, Sent. 14.01.2016 n. 508).
La ripetibilità è parametrata, in sostanza, ai canoni di soddisfacimento concordatario, avuto riguardo in primo luogo alle regole fissate nel decreto di omologazione e, per gli aspetti ivi eventualmente non disciplinati, alle regole legali, prima fra tutte il rispetto dell’ordine delle cause legittime di prelazione, che può risultare violato attraverso omissioni, posposizioni o ulteriori disparità di trattamento, tutte le volte in cui esse non siano accompagnate dalla certezza di potersi comunque provvedere con la liquidità esistente (o con risorse prontamente liquidabili) anche al pagamento dei crediti di pari grado, o addirittura di grado poziore, rimasti insoddisfatti (Cass. Ord. n. 15414 del 13.6.2018).
Anche il pagamento dei crediti prededucibili dovrà essere parametrato al criterio della “funzionalità” che il recentissimo arresto Cass. civ. Sez. Unite, 31.12.2021, n. 42093 ha posto come condizione per l’applicabilità dell’art. 111 L.F. dovendosi ritenere pertanto ripetibili tutti i pagamenti di crediti per prestazioni che non siano ritenute strettamente necessarie all’espletamento della procedura minore in base alla legge e alla sua concreta esplicazione.
Il fondamento giuridico della ripetibilità non è ravvisato nella natura indebita del pagamento, perché anzi, i pagamenti eseguiti nella procedura minore normalmente sono oggettivamente dovuti, ma nell’inefficacia o inopponibilità alla massa dei creditori fallimentari dei pagamenti difformi ai canoni di soddisfacimento concordatario.
La relativa azione è esercitabile soltanto dalla curatela, ha carattere costitutivo e si prescrive, al pari delle azioni revocatorie, nel termine di cinque anni, con decorrenza dalla sentenza dichiarativa di fallimento da cui sorge.
Diverso regime hanno i pagamenti dei crediti estranei all’ambito di operatività della procedura concordataria, la quale, in base all’art. 184 L.F. è obbligatoria per i soli creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso ex art. 161 L.F.
I pagamenti eseguiti dall’imprenditore in concordato per la fornitura di beni e di servizi ricevuti dopo la pubblicazione del ricorso ex art. 161 L.F. non costituiscono atti di esecuzione della proposta concordataria. Per gli stessi non trova applicazione la disciplina della caducazione della procedura minore, con conseguenziale esclusione di ogni ripetibilità da parte del fallimento, ove successivamente dichiarato.
L’apertura della procedura concordataria, come si è detto, non determina alcun effetto di “spossessamento” assimilabile a quello previsto dall’art. 44 L.F. per l’imprenditore fallito, sicché l’imprenditore in concordato conserva pieno titolo e legittimazione per operare in continuità aziendale e contrarre liberamente e legalmente obbligazioni di pagamento con i suoi fornitori.
Quei pagamenti, però, in caso di successiva dichiarazione di fallimento, restano comunque astrattamente suscettibili di revocatoria in base agli artt. 64 e ss. L.F. in tema di <<effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori>> come tutti gli atti di disposizione, pagamenti e garanzie concesse dall’imprenditore fallito nel periodo sospetto di cui agli articoli 64, 65, 67 primo e secondo comma, 69 L.F. da computarsi con decorrenza dalla data di pubblicazione della domanda di concordato preventivo come previsto dall’art. 69 bis L.F.
Nondimeno vengono in rilievo le esenzioni previste dall’art. 67, comma terzo, lettera a), L.F. a norma del quale non sono soggetti all’azione revocatoria <<i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso>> e dall’art. 67, comma terzo, lettera e), L.F. a norma del quale sono parimenti esentati da revocatoria <<gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, nonché dell’accordo omologato ai sensi dell’articolo 182 bis, nonché gli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161>>.
È opinione comune che l’esenzione di cui alla lettera a) è stata introdotta dal legislatore (con D.L. 14.3.2005 n. 35, art. 2, lett. a, convertito con modificazioni dalla L. 14.5.2005 n.80) per favorire la conservazione dell’impresa nell’ottica di consentire la potenziale uscita dalla crisi o comunque di non aggravarla.
Prima dell’intervento legislativo in parola, accadeva che all’insorgere di embrionali manifestazioni di una crisi, magari superabile, il semplice timore di una futura revoca dei pagamenti poteva determinare l’immediato arresto del flusso delle forniture, con conseguenziale impossibilità di operare in continuità aziendale e immediato trascinamento della crisi, magari solo temporanea, in definitiva condizione di insolvenza.
L’esigenza di favorire la conservazione dell’impresa ha dunque indotto il legislatore a porsi in contrapposizione alla precedente disciplina, la quale, in presenza delle condizioni indicate dai primi due commi dell’art. 67 L.F., assoggettava indifferenziatamente alla revocatoria i pagamenti eseguiti nel periodo sospetto con l’obiettivo di salvaguardare, primariamente e senza limitazioni di sorta, la par condicio creditorum ed evitare quindi pregiudizi alla massa dei creditori correlati al trattamento preferenziale dell’uno o dell’altro creditore.
La medesima ratio ha ispirato anche l’introduzione dell’esenzione di cui all’art. 67, comma terzo, lettera e), L.F. laddove è da ritenersi che l’inserimento dell’ultimo inciso, cioè l’estensione della norma agli atti, i pagamenti e le garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all’articolo 161 – introdotto dall’art. 33, comma 1, lett. a), n.2) del D.L. 22.6.2012 n.83, convertito con modificazioni con L. 7.8.2012 n.134 – è servito a ricomprendere nell’area della non revocabilità tutti i pagamenti eseguiti in corso di concordati anche non pervenuti ad omologazione.
Può sostenersi, in definitiva, che l’ ampliamento degli strumenti di composizione della crisi d’impresa, in una contaminazione crescente con soluzioni riorganizzative delle relazioni conflittuali fra debitore e creditori non più finalizzate necessariamente alla liquidazione, ma intese a favorire anche la continuità aziendale, è sicuramente correlato al depotenziamento della revocatoria e al riconoscimento della prevalente esigenza di favorire il tentativo di risanamento aziendale rispetto alla protezione del regime concorsuale e della par condicio creditorum che precedentemente era invece accordata dal legislatore in modo prioritario e assoluto.
L’esenzione dalla revocatoria contemplata dall’art. 67, terzo comma, lett. a), è riferita innanzitutto ai pagamenti di “beni e servizi”, da leggersi nel senso che non vi sono ricompresi indifferentemente tutti i pagamenti inerenti l’attività aziendale, ma unicamente le forniture che s’innervano, sul piano oggettivo, nell’esercizio della specifica attività d’impresa e che si inseriscono propriamente nella struttura organizzativa produttiva o commerciale con la funzione specifica di monetizzare il valore dei cespiti aziendali (Cass. Ord. n.26244 del 28.9.2021, Cass. 20.1. 2021 n. 980).
Ulteriore requisito al quale la legge subordina l’esenzione dalla revocatoria è che i pagamenti siano stati effettuati nei “termini d’uso”.
Secondo l’interpretazione consolidata della Cassazione l’espressione non si riferisce alle forniture che costituiscono oggetto del pagamento, ma ai pagamenti stessi, i quali sono opponibili alla massa dei creditori purché siano stati effettuati secondo tempi e modalità corrispondenti a quelli che hanno caratterizzato il rapporto tra le parti nel suo concreto svolgimento (Cass., Sez. I, 7.12.2016, n. 25162).
A fronte del ventaglio di soluzioni ermeneutiche prospettate in dottrina, la soluzione ritenuta più appagante dalla Cassazione è quella che privilegia il rapporto diretto tra le parti, conferendo rilievo al mutamento dei termini, da intendersi non solo come tempi, ma anche come complessive modalità di pagamento.
In quest’ottica è ritenuta del tutto irrilevante la prassi diffusa nel settore economico di riferimento e persino la specifica regola contrattuale adottata tra le parti, perché l’attenzione è piuttosto concentrata sulle modalità di pagamento invalse tra le parti indipendentemente dagli accordi conclusi. Viene ritenuto prevalente, in definitiva, l’ambito fattuale dell’andamento del rapporto e dell’esecuzione del negozio, avuto riguardo alle concrete modalità di adempimento della prestazione, piuttosto che al contenuto delle clausole negoziali (Cass., Sez. I, 18.03.2019, n. 7580).
Il riferimento ai termini d’uso svolge la funzione di escludere dalla tutela tutti quei casi in cui il mancato rispetto della prassi commerciale precedentemente adottata risulta idonea ad evidenziare il venir meno della correttezza di rapporti e il possibile approfittamento della situazione di difficoltà del debitore, anche se la Cassazione ha recentemente avvertito che occorre comunque scongiurare il rischio che il debitore possa influire con il suo arbitrario comportamento sulla sorte dei pagamenti effettuati in favore dei fornitori e che l’operatività dell’esenzione deve essere sempre legata al confronto con un parametro predeterminato e verificabile in modo oggettivo (Cass. civ. Sez. I Ord., 07.07.2021, n. 19373).
Quanto all’ 67, terzo comma, lett. e), L.F. non sono stati ancora rinvenuti precedenti della Cassazione utili a chiarire la portata dell’estensione dell’esenzione ai pagamenti legalmente eseguiti dopo il ricorso di cui all’art. 161 L.F.
È da ritenersi, però, che se l’originario testo della norma era riferito agli atti esecutivi del concordato omologato, l’esigenza avvertita dal legislatore del 2012 di ampliarne la portata ai pagamenti eseguiti dopo il deposito del ricorso ex art. 161 L.F. sia funzionale alla protezione di tutti gli atti compiuti legalmente dall’impresa in crisi per mantenere la continuità aziendale ed esperire il tentativo di superamento della crisi, anche nel caso in cui il concordato non sia pervenuto ad omologazion