Articolo dell’avvocato Antonio Viggiano
Con la sentenza n. 2251 del 23 maggio 2022 la Corte di Appello di Napoli è tornata sul tema di stringente attualità dell’esigenza di contenimento della spesa sanitaria rapportato al fabbisogno della popolazione e del potere della pubblica amministrazione di bilanciare interessi in evidente ed insanabile contrapposizione. La Corte d’Appello di Napoli, nella sentenza richiamata, afferma il principio di diritto secondo cui – nel regime dell’accreditamento sanitario – il sistema dei pagamenti in acconto, e successiva detrazione sull’importo complessivamente fatturato di una percentuale corrispondente al tetto annuale massimo di spesa preventivamente stabilito per branca o comparto, è conforme agli obiettivi di contenimento della spesa che informano la disciplina legislativa statale e regionale in materia sanitaria. Secondo la Corte territoriale «la fissazione dei limiti di spesa, e la conseguente applicazione delle regressioni tariffarie, volte a garantire l’effettività di tali limiti, è necessaria al corretto utilizzo delle risorse stanziate per l’erogazione delle prestazioni sanitarie. Nel nuovo assetto del sistema sanitario, è di fondamentale importanza il collegamento tra responsabilità e spesa così che l’autonomia dei vari soggetti ed organi operanti nel settore, non può che essere correlata alle disponibilità finanziarie, e non può prescindere dalla limitatezza delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale. Non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni quale ne sia la gravità e l’urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute. La necessità di raccordo tra limiti di spesa e diritto alla salute può attuarsi anche tramite meccanismi di riequilibrio che operano a consuntivo – ed anche in via eventuale – rispetto alla programmazione a monte, come è il caso della regressione tariffaria unica, con la conseguenza della retroattività dell’atto di determinazione della spesa».
A fronte di tali premesse teoriche, basate su modelli virtuosi assai distanti dalla realtà, si contrappone la prassi quotidiana di amministrazioni regionali che applicano retroattivamente le cd. regressioni tariffarie (revisioni postuma dei volumi di spesa) in forza delle quali si pretende dalle strutture accreditate con il servizio sanitario di cancellare il loro diritto al corrispettivo per le prestazioni effettivamente rese o, peggio, a restituire quanto percepito per le prestazioni erogate magari anni prima.
Nel mondo della realtà, purtroppo, accade che il controllo della spesa sanitaria venga esercitato sempre ex post, nell’assoluta indifferenza delle sorti delle strutture sanitarie private accreditate (che erogano effettivamente le prestazioni e ne sopportano il costo, senza percepirne il ricavo) e in clamorosa violazione del diritto alla salute della collettività.
In un contesto in cui le legittime ragioni della sanità privata convenzionata sono quotidianamente ignorate, le parole della Corte territoriale partenopea appaiono come una pietra tombale sulle aspettative di un ripensamento dell’intero sistema sanitario.