Articolo degli avvocati Stefano Mazziotti di Celso e Carla Sodano
Il licenziamento per “scarso rendimento” rientra nell’alveo di quelli per giustificato motivo soggettivo, nonostante un residuo orientamento minoritario sostenga invece possa ricondursi al g.m.o.
Lo “scarso rendimento” presuppone infatti un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, consistendo “nella inadeguatezza qualitativa o quantitativa della prestazione che viene resa da parte del dipendente che sia determinata da imperizia, incapacità e negligenza” (Cass. civ. Sez. lavoro Ord., 08/05/2018, n. 10963).
La legittimità di un tale provvedimento espulsivo muove da un’attenta e complessiva analisi della gravità della negligenza del lavoratore perpetuata in un arco temporale non istantaneo ma di durata “apprezzabile”, tenuto sempre conto del fatto che – come noto – il rapporto di lavoro subordinato non si concretizza in una obbligazione di risultato, per cui il semplice mancato raggiungimento di uno o più obiettivi non risulta “di per sé” idoneo e/o sufficiente a giustificare il recesso datoriale.
La Corte di Cassazione ha stabilito al riguardo che: “Il licenziamento per cosiddetto scarso rendimento costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. cod. civ. sicché, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sé inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento dai essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo” (Cass. civ. Sez. lavoro Sent., 09/07/2015).
La giurisprudenza di legittimità ha individuato nel corso del tempo i seguenti presupposti in presenza dei quali si può ritenere che la sanzione espulsiva sia correttamente e legittimamente operata (naturalmente in seguito all’instaurazione di un corretto iter disciplinare):
- lo scarso rendimento deve essere imputabile al lavoratore e non a fattori esterni di tipo organizzativo o ambientali dell’impresa;
- il mancato raggiungimento da parte del dipendente del risultato oggetto di valutazione (ovvero il suo scostamento) deve essere “particolarmente rilevante”. Tale valutazione può passare anche attraverso la comparazione delle performance del dipendente con quelle dei colleghi aventi la medesima qualifica e mansioni, oltre che con gli obiettivi da questi ultimi raggiunti;
- la condotta del lavoratore deve essere valutata non in relazione a un singolo episodio ma nella sua complessità e con riguardo a un determinato arco temporale significativo.
A tal proposito, la S.C. ha statuito che: “Nel licenziamento per scarso rendimento del lavoratore, rientrante nel tipo di licenziamento per giustificato motivo soggettivo, il datare di lavoro, a cui spetta l’onere della prova, non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione. Nella valutazione delle relative risultanze probatorie dovrà peraltro tenersi conto, alla stregua di un bilanciamento dei principi costituzionali sanciti dagli artt. 4 e 41 Cost., del grado di diligenza normalmente richiesto per la prestazione lavorativa e di quello effettivamente usato dal lavoratore, nonché dell’incidenza della organizzazione complessiva del lavoro nell’impresa e dei fattori socio-ambientali” (Cass. civ. Sez. lavoro, 19/09/2016, n. 18317). Ancora: “E’ legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia risultato provato, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile – in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, avuto riguardo al confronto dei risultanti dati globali riferito ad una media di attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione” (Sent. n. 26676/2017).
Ciò posto, quindi, se da un lato è vero che il reiterato mancato raggiungimento da parte di un lavoratore degli obiettivi prefissati possa configurare un inadempimento delle obbligazioni contrattualmente assunte, è altresì vero che – in un’ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi così come richiesto dalla Suprema Corte – i medesimi “inadempimenti” contestati dalla società datrice di lavoro devono necessariamente essere contraddistinti da una “particolare rilevanza” e da una “enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati” e quelli effettivamente raggiunti dal dipendente.
In definitiva, i provvedimenti espulsivi fondati sullo “scarso rendimento” si caratterizzano per essere particolarmente complessi ed articolati, nonché richiedono un’attenta e ponderata attività valutativa da parte dei datori di lavoro in ordine alla quantità e qualità degli inadempimenti complessivamente posti in essere dal dipendente in un determinato lasso temporale di riferimento