Articolo dell’avvocato Valentina Giordano
I social network (a volte definiti social media per enfatizzare il loro impatto non solo come reti sociali ma come veri e propri media auto-organizzati) sono “piazze virtuali”, cioè dei luoghi in cui attraverso Internet ci si ritrova condividendo con altri fotografie, filmati, pensieri, indirizzi, amici e tanto altro. I social network sono lo strumento di condivisione per eccellenza e rappresentano una straordinaria forma di comunicazione, anche se comportano dei potenziali rischi per la sfera personale degli individui coinvolti.
Gli strumenti predisposti dalle reti social permettono di seguire familiari, amici e persone note anche a lunghe distanze, espandendo le possibilità di comunicazione al massimo. Tuttavia, una siffatta esposizione della vita privata e personale degli utenti può provocare degli “effetti collaterali” laddove non vengano rispettate alcune regole basilari.
La dignità della persona e il diritto alla riservatezza non perdono il loro valore su internet, motivo per il quale i principi che si applicano in via generale sulla “carta stampata” sono applicabili anche – e soprattutto – nel mondo digitale.
Com’è noto, la Legge sul diritto d’autore (Legge n. 633/1941) detta agli artt. 96 e 97 alcune disposizioni che integrano la disciplina codicistica del diritto all’immagine, chiarendo che il ritratto altrui non può essere “esposto, riprodotto o messo in commercio” senza il consenso espresso dell’interessato.
La necessità del consenso viene meno solo quando ricorre una delle “esimenti” previste dall’art. 97, in virtù del quale la riproduzione dell’immagine – senza il consenso dell’interessato – può essere giustificata “dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico” e purché l’esposizione o messa in commercio dell’immagine non rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona ritrattata.
Il diritto all’immagine ha nel tempo visto ampliarsi sempre di più la sua operatività grazie ai contributi giurisprudenziali e dottrinali, i quali si sono preoccupati di tutelare l’immagine pubblica di personaggi famosi (e non) sia dallo sfruttamento abusivo ad opera di terzi sia dal punto di vista patrimoniale.
A tal fine, prendendo le mosse dalla disciplina codicistica e da quella della Legge sul diritto d’autore, si è cercato di offrire un’interpretazione estensiva del diritto all’immagine, includendovi un profilo negativo preordinato alla salvaguardia dei beni “personali” del titolare del diritto ed uno positivo volto a consentire lo sfruttamento economico del ritratto.
Alla fine di un percorso concettuale che ha seguito diverse strade, solo recentemente è stata configurata l’esistenza di un vero e proprio “right of publicity” (letteralmente “diritto di pubblicità”) sull’immagine ovvero un diritto avente ad oggetto una “new res” assimilabile per molti versi ai diritti posti a tutela della proprietà intellettuale.
Il “right of publicity” non è altro che il diritto del singolo soggetto (più o meno noto) di proteggere la propria sfera giuridica dall’appropriazione indebita del nome, della somiglianza o da altri indizi di identità personale, come soprannome, pseudonimo, voce, firma, somiglianza o fotografia, a fini commerciali.
In buona sostanza, ciò che si assume esser leso non è il diritto che ha il soggetto a non vedere riprodotti il proprio nome e la propria immagine – al fine di proteggere l’interesse di questi alla non conoscenza altrui (in forma diffusa) – ma un diritto patrimoniale assoluto sulla propria immagine.
Alla luce dell’evoluzione mediale dell’ultimo cinquantennio e del progressivo ampliarsi dell’importanza del mercato pubblicitario, dottrina e giurisprudenza hanno dovuto riconoscere come autonomamente tutelabile il valore economico, spesso ingente di tale diritto, prendendo in prestito dai Paesi di Common Law anche il nome del nuovo diritto.
Attraverso il riconoscimento nel nostro ordinamento del “right of publicity” si vuole evitare che la diffusione dell’immagine venga giustificata automaticamente in ragione della notorietà della persona effigiata, con la conseguenza che – ove essa non si riferisca in modo diretto ed immediato alle circostanze e all’attività che rendono la persona ritratta nota al pubblico – l’uso si ritiene illegittimo.
Ovviamente, è l’interprete a dover valutare, caso per caso, se ed in che misura una determinata diffusione dell’immagine abbia come scopo principale quello di informare il pubblico – anche solo soddisfacendone la curiosità (si pensi ai casi dei vip) – ovvero quello di ottenere esclusivamente dei guadagni, grazie al richiamo esercitato sul pubblico dall’immagine utilizzata.
Ne consegue che l’utilizzo di immagini e video estratti dai social network di personaggi (più o meno noti) deve ritenersi legittima solo laddove avvenga nel rispetto della normativa generale ovvero risponda ad una superiore esigenza informativa poiché, solo in tale ipotesi, nel bilanciamento tra diritto all’immagine del soggetto e diritto all’informazione, prevale l’interesse sociale alla conoscenza del fatto.