Dimissioni della lavoratrice madre nel periodo “protetto”: l’indennità sostitutiva del preavviso è sempre dovuta?
Articolo degli avvocati Carlotta Sodano e Stefano Mazziotti di Celso
Il nostro ordinamento prevede una particolare tutela per i genitori lavoratori che intendano rassegnare le proprie dimissioni durante determinati periodi di tempo considerati “protetti”.
L’art. 55 del Testo Unico sulla maternità e paternità (D.lgs. 151/2001) testualmente prevede che:
“1. In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto, a norma dell’articolo 54, il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica al padre lavoratore che ha fruito del congedo di paternità.
3. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche nel caso di adozione e di affidamento, entro un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.
4. La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro.
5. Nel caso di dimissioni di cui al presente articolo, la lavoratrice o il lavoratore non sono tenuti al preavviso”.
La Legge n. 92/2012 ha successivamente esteso sino a 3 anni il predetto periodo in cui la lavoratrice madre o il lavoratore padre devono convalidare le dimissioni, mentre invece l’indennità di preavviso continua a sussistere solo per le dimissioni presentate dalla lavoratrice madre entro il primo anno di età del figlio o dal lavoratore padre durante il periodo di godimento del congedo di paternità e fino ad un anno di età del figlio.
Le suindicate disposizioni normative hanno un’evidente funzione “sociale”, finalizzata ad incentivare la genitorialità ed evitare risoluzioni dei rapporti di lavoro che non siano frutto di decisioni genuine e spontanee.
Da qui la necessità di subordinare l’efficacia delle dimissioni alla convalida da parte dell’Ispettorato del Lavoro territorialmente competente.
Ci si è chiesti al riguardo se le indennità previste dall’art. 55 siano sempre ed in ogni caso previste in favore della lavoratrice dimissionaria. Il comma 1 della predetta norma prevede sic et simpliciter che “la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento”, senza fornire alcuna distinzione circa le ragioni e/o motivazioni sulle quali le dimissioni possano essere fondate.
Nel silenzio della legge la questione è stata analizzata in sede giudiziale. In particolare, i Giudici di merito e di legittimità sono stati chiamati a decidere il caso in cui la lavoratrice madre abbia rassegnato le dimissioni non per occuparsi esclusivamente della prole, ma per accedere invece ad un’altra occupazione.
La giurisprudenza è unanime nello statuire rispettivamente che “L’art. 55, comma 1, del D.Lgs. n. 151 del 2001 stabilisce l’inderogabilità dell’obbligo di corrispondere le indennità ivi previste” e che “la lavoratrice madre la quale, entro l’anno in cui vige il divieto di licenziamento, rassegni le proprie dimissioni ha diritto all’indennità sostitutiva del preavviso, a prescindere dalla circostanza che la stessa abbia contestualmente reperito una nuova occupazione”.
La Suprema Corte ha inoltre chiarito che “In caso di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice madre ha diritto, a norma dell’art. 55 del d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, alle indennità previste dalla legge o dal contratto per il caso di licenziamento, ivi compresa l’indennità sostitutiva del preavviso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni e, quindi, anche nell’ipotesi in cui esse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice alle dipendenze di altro datore di lavoro” (Cass. Civ., Sez. Lav., 17/6/2019, n. 16176).
Gli ermellini hanno poi anche sottolineato la funzione sociale della norma, la quale introduce “un insindacabile favor per la madre dimissionaria, i cui costi sono destinati a gravare sul datore di lavoro, secondo una logica di evidente stampo solidaristico (art. 2 Cost.), finalizzata alla tutela della maternità e della formazione della famiglia (art. 31 Cost.)”.
Ciò posto, la Corte non esclude però che in taluni casi il pagamento delle indennità de quibus possa essere ritenuto indebito. Tale eventualità ricorrerebbe solamente nell’ipotesi in cui il datore di lavoro (sul quale incombe il relativo onere probatorio) riuscisse fondatamente a dimostrare (prova che appare alquanto complessa, se non addirittura “diabolica”) che la nuova occupazione della lavoratrice – in relazione alla quale erano eziologicamente preordinate le dimissioni – fosse espressione di un comportamento della stessa non improntato alla correttezza e buona fede contrattuale di cui all’art. 1375 c.c., ma votato dolosamente ed esclusivamente al fine “profittatorio”, come tale quindi espressione di un vero e proprio “abuso del diritto”.
A titolo meramente esemplificativo di tale censurabile comportamento della lavoratrice la Corte di Cassazione ha individuato il caso in cui la nuova occupazione fosse al tempo stesso non solo “economicamente più vantaggiosa” ma anche “lavorativamente più onerosa” per l’ex dipendente.
In conclusione, al di fuori delle predette ipotesi di evidente e comprovato abuso del diritto da parte della lavoratrice, è da escludersi che il datore possa legittimamente omettere di corrispondere le suindicate indennità di cui all’art. 55, comma 1, Dlgs. 151/2001.