Gli effetti del concordato preventivo omologato per i fideiussori
articolo dell’avvocato Paolo Picone
L’art. 184 L.F. intitolato: “Effetti del concordato per i creditori” prevede che:
<<Il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161. Tuttavia essi conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso.
Salvo patto contrario, il concordato della società ha efficacia nei confronti dei soci illimitatamente responsabili (art. 184 L.F.)>>.
L’opinione dominante ritiene che la norma contenuta nel secondo periodo del primo comma, nel sancire che i creditori conservano impregiudicati i diritti contro coobbligati e fideiussori, consentirebbe al creditore, ancorché abbia aderito alla proposta concordataria, di agire contro il fideiussore dopo l’omologa e persino dopo la piena esecuzione del concordato, per recuperare la quota di credito fatta oggetto di rinuncia (o se si preferisce, di “stralcio”).
I precedenti giurisprudenziali in materia e soprattutto Cass. civ. Sez. Unite, n. 3022 del 16.2.2015, considerano la norma contenuta nel secondo periodo del primo comma dell’art. 184 L.F. una eccezionale deroga al principio della comunicabilità̀ degli effetti favorevoli tra i condebitori previsto dall’art. 1301 c.c. per la remissione volontaria e dall’art. 1941 c.c. per la fideiussione.
Si è espressa in questi termini anche Cassazione n. 22382 del 6.9.2019, aggiungendo in motivazione che detta deroga sarebbe già̀ stata “considerata costituzionalmente legittima, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost. … giacché il fideiussore, da un lato paga quanto si era assunto l’obbligo di pagare e dall’altro subisce, in sede di rivalsa, gli effetti del concordato come qualunque altro creditore”.
Sennonché́ l’unico precedente della Corte costituzionale rinvenuto sull’art. 184 L.F. è la sentenza n.106 del 2.4.2004, la quale, però, non ha esaminato la legittimità̀ costituzionale della norma contenuta nel secondo periodo del primo comma, ma solo quella contenuta nel primo periodo, relativa agli effetti del concordato nei confronti dei creditori anteriori alla pubblicazione del ricorso. E’ stata giudicata infondata, in particolare, la questione di legittimità̀ costituzionale degli artt. 137, 184 e 186 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, in riferimento agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, nella parte in cui, in combinato disposto, “precludono al creditore anteriore alla proposta di concordato preventivo del suo debitore, e non avvisato della proposta concordataria, né inserito nell’elenco dei creditori, di richiedere il fallimento del suo debitore, nel caso di inadempimento del concordato, ed anche in mancanza di risoluzione, decorso l’anno dalla scadenza dell’ultimo pagamento indicato nel concordato preventivo omologato”.
La questione è stata risolta dalla Corte suggerendo al giudice a quo un’interpretazione “costituzionalmente orientata” delle disposizioni esaminate. E’ stato premesso, in sentenza, che le norme esaminate sono inequivoche nel sancire, da un lato, che “il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura della procedura di concordato” (art. 184 del R.D. n. 267 del 1942) e, dall’altro lato, “che tale obbligatorietà può venire meno solo a seguito della risoluzione o dell’annullamento, in quanto con la sentenza che risolve o annulla il concordato il Tribunale dichiara il fallimento (art. 186 del R.D. n. 267 del 1942); dichiarazione che retroagisce al momento del decreto di apertura della procedura di concordato, e che determina, ovviamente, l’ammissione al passivo dei crediti anteriori per l’intero loro ammontare e non già nella misura falcidiata dal concordato”. La Corte ha quindi evidenziato che: “l’interpretazione secondo la quale la dichiarazione di fallimento non presuppone in ogni caso, quando si tratti di insolvenza relativa ad obbligazioni anteriori al concordato, la risoluzione di quest’ultimo, non è necessitata dal tenore delle norme esaminate”.
In conclusione la Corte costituzionale ha affermato che “la tesi secondo la quale l’assenza della risoluzione del concordato impedirebbe non soltanto tale dichiarazione di fallimento in consecuzione, ma anche una autonoma dichiarazione di fallimento, la quale, ferma l’obbligatorietà del concordato per tutti i creditori anteriori al decreto di apertura, prende data ad ogni effetto dalla dichiarazione stessa, non è affatto imposta dalla legge (e, tanto meno, dal diritto vivente), bensì è frutto di una interpretazione che privilegia un – rispettabile ma opinabile – profilo sistematico, secondo il quale il concordato (se non risolto o annullato) cancellerebbe definitivamente quella insolvenza in ragione della quale fu ammesso e omologato e, pertanto, impedirebbe di attribuire successivamente rilevanza, ai fini di cui all’art. 5 del R.D. n. 267 del 1942, ai debiti esistenti al momento dell’apertura della procedura”.
Da qui il suggerimento al giudice rimettente di “adottare una interpretazione conforme a Costituzione in luogo di quella sistematica che egli ritiene confliggente con le evocate norme costituzionali; sicché, ferma l’obbligatorietà della falcidia concordataria sui crediti anteriori, dovrebbe verificare se l’inadempimento di tali crediti, da parte di soggetto qualificabile come imprenditore commerciale, era tale da potersi definire come insolvenza, ai sensi dell’art. 5 del R.D. n. 267 del 1942, e trarne le conseguenze di legge in ordine alla legittimità della sentenza dichiarativa di fallimento” (Corte cost. 106/2004).
La specifica posizione del fideiussore e gli effetti prodotti dal concordato nei suoi confronti, diversamente da quanto si legge in Cass. n. 22382 del 6.9.2019 (sopra citata), non sono stati esaminati neppure incidentalmente dalla Corte costituzionale.
L’approfondimento del tema, comunque, non può prescindere dalla più ampia disamina della posizione del fideiussore nell’ambito della procedura concordataria.
Deve convenirsi che costituisce ius receptum che il fideiussore, pur potendo partecipare all’adunanza dei creditori ex art. 174 L.F. non possa esprimere alcun voto in sede concordataria, sul presupposto che “prima del pagamento, il credito di regresso non è sorto e dunque non può̀ essere ammesso, neppure con riserva quale credito condizionale” perché “il pagamento del debito garantito non è condizione di esigibilità̀, ma presupposto per la stessa esistenza del credito di regresso del fideiussore” (Cass. 22382/2019 cit.).
L’inesistenza di un diritto di regresso prima dell’escussione e dell’effettivo pagamento, costituisce, dunque, il motivo per il quale viene escluso il diritto del fideiussore di partecipare attivamente, con l’espressione del voto, al procedimento di approvazione della proposta.
L’estraneità̀ della fideiussione alla procedura concordataria è poi confermata anche dagli arresti giurisprudenziali in tema di “formazione delle classi”. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3274 del 10.2.2011, ribadendo che l’articolazione dei creditori chirografari in classi è frutto di una scelta discrezionale del proponente, dal momento che i creditori chirografari per loro natura sono accomunati da un interesse economico omogeneo, ha osservato che: “in relazione al problema, che pure esiste, dei creditori provvisti di garanzie fornite da terzi (…) la loro posizione non è giuridicamente diversa, nel rapporto con il debitore principale insolvente o in crisi, da quella degli altri creditori e muta solo sotto il profilo pratico così come può̀ avvenire per altri creditori per effetto di situazioni non classificabili e solo indirettamente incise dalla proposta (si pensi ad un concorrente dell’impresa insolvente che vota contro il concordato perché́ ritiene più̀ vantaggioso eliminare un competitore piuttosto che recuperare il credito o, al contrario, di un imprenditore che vota a favore pur in presenza di un’offerta misera convinto di poter interagire vantaggiosamente con l’impresa uscita dalla crisi, oppure ancora al creditore a rischio di revocazione non ancora autorizzata), senza considerare i profili della pratica difficoltà, evidenziata dalla dottrina, di emersione delle garanzie e di valutazione delle probabilità̀ di escussione” (Cassazione, 10.02.2011 n. 3274).
Il quadro complessivo che ne consegue, di un fideiussore assolutamente “terzo” rispetto all’accordo concordatario, titolare di una posizione ritenuta irrilevante anche ai fini della formazione delle “classi” dei creditori (almeno in base alla normativa attualmente vigente) e tuttavia tenuto a pagare integralmente anche la quota “falcidiata” del credito, ad avviso di chi scrive non appare perfettamente coerente con i principi generali dell’ordinamento, né con la Costituzione.
È opportuno ricordare, innanzitutto, che la disposizione normativa in commento è rimasta invariata dalla pubblicazione della legge fallimentare nella G.U. del 6.4.1942 ad oggi, mentre la disciplina del concordato preventivo è stata fortemente innovata, anzi completamente rivoluzionata nei successivi ottant’anni.
Nella concezione originaria del legislatore del 1942 il concordato preventivo partecipava alle medesime finalità̀ liquidatorie del fallimento e del concordato fallimentare e in quel quadro normativo la norma riceveva un’appropriata collocazione sistematica, al punto da non meritare specifici approfondimenti o spiegazioni nel paragrafo n. 40 della Relazione sottoposta al Re dal Ministro Guardasigilli Dino Grandi. Mutato completamente il contesto normativo di contorno, non si può eludere l’esigenza di leggere quella disposizione nel diverso quadro sistematico dell’odierna natura e funzione dell’istituto.
Senza negare la natura pubblicistica e concorsuale del concordato preventivo, dunque senza necessariamente privilegiare l’aspetto negoziale intrinseco all’approvazione della proposta concordataria, che pure ne costituisce un momento qualificante, è necessario rimarcare la peculiarità̀ dell’istituto nel vigente sistema normativo, rispetto al fallimento e allo stesso concordato fallimentare.
Quest’ultimi istituti s’inscrivono in uno scenario liquidatorio funzionale alla spartizione concorsuale del patrimonio incapiente del debitore, avendo come esito finale, non la “riduzione” dei crediti, bensì̀ il loro pagamento parziale. Il concordato preventivo, invece, è imperniato su un “accordo” finalizzato all’estinzione dei debiti o alla loro novazione nell’ottica di una rimessione in bonis, non al loro pagamento parziale o alla spartizione di un patrimonio incapiente.
Cass. Civ. 18.3.2003 n. 3957, in motivazione, così testualmente si esprime: “il concordato, quale che ne sia la costruzione ontologica sostanziale prescelta, ha costante effetto remissorio, e determina sempre, soddisfatti i creditori con la percentuale concordataria o la liquidazione dei beni, la liberazione dell’obbligato dai debiti residui, traendone la conferma proprio dal parallelo con la diversa disciplina prevista per il fallimento dalla disposizione contenuta nell’art. 120 della legge fallimentare, sopra richiamato…il credito dell’attore, per l’effetto, nel caso in esame, per effetto del pagamento eseguito dal liquidatore, quale che ne sia stata la misura, … doveva essere dichiarato estinto per l’intero, e non già̀ nella percentuale … pari all’ammontare effettivamente percepito dal creditore…”.
Ottenuto il consenso dei creditori e l’omologa dell’accordo concordatario, l’impresa in continuità̀ aziendale, a differenza dell’impresa fallita, ha il buon diritto di eliminare dal passivo di bilancio la quota di debito fatta oggetto di remissione, anzi, questo è il modo specificamente prescelto dal legislatore per consentire la continuità̀ aziendale in tutti i frequenti casi in cui il concordato sia servito, tra l’altro, a disattendere gli obblighi di scioglimento derivanti dalla perdita del capitale sociale ai sensi dell’art. 182 sexies L.F. a norma del quale: <<dalla data del deposito della domanda per l’ammissione al concordato preventivo, anche a norma dell’articolo 161, sesto comma, della domanda per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’articolo 182 bis ovvero della proposta di accordo a norma del sesto comma dello stesso articolo e sino all’omologazione non si applicano gli articoli 2446, commi secondo e terzo, 2447, 2482 bis, commi quarto, quinto e sesto, e 2482 ter del codice civile. Per lo stesso periodo non opera la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545 duodecies del codice c2ivile. Resta ferma, per il periodo anteriore al deposito delle domande e della proposta di cui al primo comma, l’applicazione dell’articolo 2486 del codice civile>>.
L’OIC 19 (regola di contabilità̀ introdotta dall’Organismo Italiano Contabilità̀) rubricato “Debiti”, che ha sostituito nel 2016, rispetto al trattamento della tematica in commento, il precedente OIC 6 denominato “Ristrutturazione del debito e informativa di bilancio”, statuisce specificamente il trattamento contabile da riservare alle sopravvenienze da stralcio, definite più̀ propriamente “insussistenze del passivo”.
Il fatto che il fideiussore dell’impresa in concordato, all’esito dell’omologa, sia tenuto a rimborsare la quota rinunciata del credito (che sarebbe quindi improprio definire “falcidiata”) e di conseguenza a pagare un debito (altrui), che in caso di concordato omologato è da considerarsi non più esistente, come si è detto, non risulta pienamente coerente con i principi generali e con la Costituzione.
Il debito residuale del fideiussore verrebbe infatti a configurarsi come completamente “astratto” e quindi non più̀ funzionale ad una prestazione di garanzia, cioè̀ non più̀ ontologicamente dipendente dall’esistenza del debito garantito (giuridicamente estinto e contabilmente divenuto “insussistente”). La “causa” del contratto di garanzia verrebbe a mutare senza il consenso del diretto interessato (da tutti ritenuto “terzo” rispetto all’accordo concordatario) e quindi con un’inammissibile ingerenza di natura tecnicamente “espropriativa” nella sfera patrimoniale del garante, perché lesiva dell’autonomia negoziale privata.
Eppure, l’intangibilità̀ della sfera patrimoniale personale e la relativa tutela, è sicuramente protetta dagli articoli 2, 24, 41 e 42 della Costituzione come componente fondamentale della libertà individuale.
Non solo l’effetto propriamente espropriativo derivante dal fatto di terzi (ossia dall’accordo concordatario omologato) verrebbe a determinarsi con riferimento alla sfera dell’autonomia negoziale, perché́ il fideiussore subirebbe, senza il suo consenso, la modifica causale del rapporto giuridico, trasformando la garanzia in un debito “astratto” da qualsiasi giustificazione funzionale (effetto impedito dagli art. 2 e 41 Cost.), ma verrebbe a determinarsi anche con riferimento alla sfera patrimoniale, perché́ il fideiussore perderebbe, sempre senza il suo consenso, anche il diritto di regresso (effetto precluso dagli articoli 24 e 42 Cost.).
È invece possibile interpretare l’art. 184, 2° periodo del primo comma, L.F. in coerenza con il sistema ordinamentale del diritto privato e in modo costituzionalmente orientato, superando l’orientamento attualmente espresso dalla giurisprudenza di legittimità e attribuendo all’espressione <<i creditori conservano impregiudicati i diritti verso il fideiussore>> una portata limitata alle “azioni” esperibili dai creditori e non riferita al credito originario.
Gli arresti che, senza compiere la dovuta comparazione storica tra il concordato del 1942 e quello attuale, hanno escluso la soluzione ermeneutica qui suggerita (ad esempio, esplicitamente, Cass. n. 3816 del 21.4.1994) non hanno attribuito la giusta rilevanza al fatto che il primo comma dell’art. 184 L.F., nel prevedere che: <<il concordato omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’articolo 161>> richiama propriamente gli effetti conseguenti al deposito (e alla pubblicazione) del ricorso ex art. 161 L.F. e quindi rinvia alle specifiche conseguenze giuridiche dell’ammissione al concordato preventivo.
Gli effetti della domanda di concordato sono previsti, principalmente, dall’art. 168 L.F. a norma del quale: <<dalla data della pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese … i creditori, per titolo o causa anteriore non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore>>. Il riferimento all’ “azione”, piuttosto che al “diritto”, si rinviene dunque nel testuale ed espresso rinvio agli effetti legali della domanda di concordato, dalla quale consegue unicamente la paralisi delle “azioni”, giammai l’estinzione, neppure parziale, dei diritti.
Il secondo periodo del primo comma dell’art. 184 L.F., in conclusione, potrebbe essere interpretato nel senso che la domanda di concordato, mentre preclude ai creditori la possibilità̀ di promuovere azioni esecutive e cautelari nei confronti del debitore, non impedisce che quelle azioni possano essere promosse contro il fideiussore in costanza di concordato, a differenza di quanto previsto dal secondo comma dello stesso articolo 184 L.F. per i soci illimitatamente responsabili.
Al fideiussore chiamato a pagare prima dell’omologa del concordato, dovrebbe essere riconosciuta la legittimazione a partecipare con il voto alla procedura concordataria, anche soltanto in ragione del diritto di rilievo e di disporre in quella sede, liberamente, del proprio diritto, con salvezza dei principi e delle norme costituzionali sopra richiamate.
In nessun caso, però, dovrebbe ammettersi che il creditore che abbia partecipato al concordato senza compulsare o escutere preventivamente il fideiussore e che abbia disposto in autonomia del suo diritto, sia legittimato ad ottenere pagamenti in misura superiore a quelli dovuti dal debitore principale a seguito dell’omologa, perché deve sempre essere salvaguardata la funzione di garanzia che giustifica, sotto il profilo causale, l’obbligazione e la prestazione del garante.
In alternativa alla soluzione ermeneutica proposta, si ritiene che nell’ambito dei relativi procedimenti giudiziari debba essere provocato l’intervento della Corte costituzionale ai sensi dell’art. 1 L. Cost. 1/1948 e che la norma in commento dovrebbe essere giudicata incostituzionale per violazione degli articoli 2, 3, 24, 41 e 42 della Costituzione, nella parte in cui dispone che il fideiussore non preventivamente compulsato o escusso sia tenuto a pagare la quota estinta del credito dopo l’omologa o l’esecuzione di un concordato preventivo al quale non ha potuto partecipare.
La violazione degli articoli 2, 24, 41, 42 della Costituzione, come si è detto, si renderebbe palese in ragione dell’effetto espropriativo che verrebbe a determinarsi nella sfera giuridica del fideiussore in dipendenza dell’omologazione di un accordo al quale lo stesso fideiussore è completamente estraneo e nella provocata estinzione del diritto di regresso senza il consenso del titolare.
La violazione dell’art. 3 sarebbe da riferire, invece, all’irragionevolezza e alla contrarietà al sistema del diritto privato di una disposizione volta a preservare la garanzia di un debito definitivamente estinto.